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Hanno fatto strage di civili in Italia. Poi sono tornati a casa in Germania, senza mai pagare i loro crimini. Ecco le loro storie

di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), Francesca Candioli. Coordinamento multimediale Laura Pertici. Produzione Gedi Visual. Video RBB e BLOND SCRL

la Repubblica 08 LUGLIO 2023

Sono tornati a casa come se nulla fosse accaduto, occultando dietro l’aspetto presentabile l’anima delle belve. Non avevano dimenticato l’orrore di cui erano stati protagonisti: lo tenevano dentro, aspettando che tornasse la loro ora. Quando il Terzo Reich è crollato, all’inizio alcuni – quelli chiamati “i lupi mannari“ - hanno pensato di proseguire la lotta con le armi. Poi è sorta la Guerra Fredda e tutti hanno trovato nuovi nemici e altri modi per riscattare i vecchi camerati. Persone normali, senza rimorsi. Progressivamente non hanno neppure sentito il bisogno di nascondersi e sono tornati a radunarsi tra reduci. 

La Germania ha faticato ad affrontare l’eredità nazista. Salvo pochissime eccezioni, l’intero Paese aveva seguito Hitler e per questo sono stati adottati criteri di epurazione molto selettivi: soltanto artefici e carnefici dell’Olocausto sono stati considerati criminali da perseguire. Subito si è creata una distinzione, che è tuttora in voga nella destra, tra i gerarchi del Partito e gli uomini delle Waffen SS, equiparando questi ultimi ai "normali" combattenti delle forze armate. Non si è voluto guardare alla realtà, ancora più drammatica: in Italia come negli altri territori occupati erano stati militari di ogni tipo a commettere gli eccidi: Waffen SS, Wehrmacht, Luftwaffe. A ordinare le stragi di civili e a portarle a termine erano stati volontari e coscritti, soldati semplici e ufficiali. Questa responsabilità in qualche modo collettiva ha contribuito alla rimozione individuale della colpa, permettendo ai massacratori di dormire sonni tranquilli per decenni. Li ha aiutati la volontà dei governi occidentali di non infierire sulla Germania federale, tornata a essere un alleato fondamentale nella sfida con il blocco comunista: i fascicoli dei procedimenti aperti in Italia sono stati murati nel famigerato "armadio della vergogna". E la sensibilità giuridica della magistratura ha spinto a punire soltanto le figure apicali, graziando chi aveva obbedito agli ordini, pur eseguendoli con compiaciuta crudeltà. Poi in mezzo secolo i valori etici sono cambiati e anche la giurisprudenza ne ha preso atto. L’innocenza di uomini come il capitano Erich Priebke, uno dei registi delle Fosse Ardeatine, è stata considerata inaccettabile. E agli inizi del millennio la procura militare di La Spezia, guidata da Marco De Paolis, ha realizzato un miracolo investigativo individuando - grazie soprattutto alle ricerche negli archivi di Carlo Gentile - e facendo condannare centinaia di aguzzini sopravvissuti nel silenzio. L’opera di giornalisti determinati come Udo Gumpel ha scosso le coscienze tedesche. Ma bisogna andare oltre. In questo momento infatti ricordare è doppiamente fondamentale. Perché, come i personaggi delle biografie scritte da Francesca Candioli in questo longform, sono tornati sulla scena europea partiti che non rinnegano quel passato di terrore, conservandolo nei loro simboli e nei loro slogan. Sono i nuovi lupi mannari, che aspettano il momento opportuno per gettarsi sul nostro futuro.

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                                                                                                                 Karl-Heinz Becker (Schwedt/Oder, 1914 - Bargum, 2000)

È il 1970 e a Bargum, un piccolo paesino tedesco immerso nella natura a 30 minuti dal confine con la Danimarca, viene eletto un nuovo borgomastro, il corrispettivo del nostri sindaci. Si chiama Karl-Heinz Becker, ha 56 anni ed è stato democraticamente eletto. A Bargum tutti lo conoscono, anche se non è nato qui, ma nel Brandeburgo. È un imprenditore agricolo, ha quattro figli e sembra davvero un uomo affidabile, a tal punto che viene rinnovato dai suoi cittadini per ben due legislature. Rimane in carica come borgomastro fino al 1982, ma non è l’unico ruolo che ricopre. Per un po’ si occupa anche di caccia, gestendo tutto il settore venatorio del suo distretto. Muore nel 2000, all’età di 86 anni, ed è sepolto nel suo paesino con tutti gli onori. Ignorando però il suo passato. Bargum è molto diverso da Pietransieri, un piccolo borgo arroccato sulle montagne abruzzesi. Li unisce solo il silenzio, lo stesso che ha coperto il passato di Karl-Heinz Becker. A soli 28 anni guidava un battaglione di paracadutisti della Luftwaffe, soprannominato "l’orda di Becker", temerari e fedeli al loro capo fino alla morte. Becker, dopo essere emigrato adolescente in California, è tornato nel Reich dopo l’avvento al potere di Hitler e si è subito arruolato. Partecipa con i suoi parà all’invasione della Polonia, poi alla blitzkrieg in Olanda ed è uno dei protagonisti dell’assalto a Creta, dove riceve la croce di cavaliere e diventa una leggenda tra le truppe d’assalto.

Dopo l’8 settembre 1943 il suo battaglione cala in Italia per fermare l’avanzata alleata. A novembre sono in Abruzzo e Becker trasmette l’ordine di sgomberare Pietransieri: tutti i 600 abitanti devono andarsene. In duecento però scelgono di salire sui monti a 1400 metri e nascondersi nelle masserie della località chiamata Limmari. Credono di essere al sicuro, ma i parà compiono un rastrellamento feroce. È il 21 novembre del ’43 e tutte le persone scoperte nei casolari vengono messe al muro e mitragliate, e gli edifici fatti saltare in aria. C’è chi viene ucciso all’istante mentre sta facendo colazione, e chi invece fucilato in una radura. A terra restano 125 cadaveri. Si salvano solo pochi bambini, alcuni dei quali rimangono soli in montagna e muoiono di stenti. Solo una bambina di 7 anni, Virginia Macerelli, viene recuperata viva dalla nonna dopo alcuni giorni. È la prima grande strage di civili realizzata dai tedeschi in Italia. Finita la guerra, Becker torna in Germania e guarda caso sceglierà proprio un paesino, piccolino e immerso nella natura, come Pietransieri, per ricostruirsi una nuova vita, dove nessuno sa che cosa ha fatto in Italia. E dove gli inquirenti tedeschi e italiani non lo hanno mai cercato.

articolo 10 02                                                                                                                          Klaus Konrad (Berlino 1914 - Scharbeutz 2006)

È il 1969 e Klaus Konrad ha 55 anni ed è all’apice della sua carriera. Dopo tanti anni di militanza politica e una carriera da avvocato e notaio, è riuscito finalmente a conquistare uno scranno al Bundestag, il Parlamento federale tedesco. Rappresenta i socialdemocratici dell’Spd, uno dei partiti più antichi di Europa, messo al bando da Hitler, e ancora oggi alla guida del Paese. La sua scalata politica però è minacciata dagli spettri della Storia. Da due anni gli inquirenti tedeschi gli stanno addosso. La Procura di Gießen lo ha inserito nel registro degli indagati, e sta cercando di ricostruire il suo passato da nazista. Klaus Konrad nasce in una famiglia borghese e studia giurisprudenza a Berlino, ma a 18 anni è già nelle Sa, le prime squadre paramilitari ideate da Hitler. Nel 1937 supera l’abilitazione legale e contemporaneamente si iscrive al partito nazista. Poco dopo viene chiamato alle armi e partecipa alla campagna di Francia, ma non molla gli studi e supera la selezione per diventare magistrato. Nel 1944 lo mandano in Italia, alla sezione comando del 274° reggimento fanteria della Wehrmacht. Il suo colonnello Wolf Ewert lo definisce come un giurista intelligente, versatile ed eloquente. Nel luglio del 1944 si trova a San Polo, sulle colline di Arezzo, ed è proprio il tenente Konrad ad ordinare di rinchiudere una cinquantina di persone, tra civili e partigiani, in una cantina a Villa Mancini. Qui i prigionieri vengono sottoposti a violenti interrogatori con pugni, calci, randelli e tubi di gomma, fino a fargli perdere i sensi. Dopo diverse ore cominciano le fucilazioni a Villa Gigliosi: li obbligano a scavare grandi fosse comuni, poi li fanno allineare a scaglioni sul bordo e li uccidono con un colpo alla nuca. Una volta terminata l’esecuzione, i soldati mettono della dinamite accanto ai corpi e fanno esplodere tutto: hanno la certezza così che non ci saranno superstiti, né tracce delle torture.

Dopo il 1945, Konrad rientra a casa e trova lavoro come assistente nello studio di un avvocato. È l’inizio di una lunga carriera in toga: prima avvocato, poi notaio e nel 1956 diventa amministratore distrettuale della circoscrizione di Eutin, città dove viene eletto nel Consiglio comunale. Nel 1949 si iscrive all’Spd, dirige la federazione locale del partito, poi l’ascesa: deputato al parlamento del Land e dal 1969 al Bundestag. I magistrati tedeschi non disturbano la sua ascesa. Lo assolvono, ritenendo che fosse presente solo alla prima fase della strage di San Polo con "omicidi semplici": un reato prescritto per la giustizia federale. Il procedimento viene archiviato nel segreto nel 1972 e Konrad rimane al Bundestag fino al 1980. Non ha problemi neppure dall’istruttoria aperta nel 1996 dal procuratore militare Marco De Paolis, perché l’identificazione dei responsabili dell’eccidio non ha sufficiente certezza: tutto archiviato nel 2000. Poco dopo, tuttavia, la Procura di La Spezia acquisisce il vecchio fascicolo dell’inchiesta di Gießen e sulla base dei nuovi elementi raccolti è possibile riaprire il caso. Nel frattempo, nel 2004, i giornalisti Udo Gümpel e René Althammer rintracciano Konrad e l’intervistano per la trasmissione investigativa Kontraste. Il servizio crea un scalpore, dato che Konrad è un politico noto. Lui infatti ammette di aver assistito alle torture degli italiani e di non provare rammarico: "Non mi sono mai sentito colpevole: certo le persone erano impaurite, sapevano che quella sarebbe stata la loro fine e non posso negare che non siano stati picchiati. Fucilare 50-60 persone è una cosa che colpisce chiunque. Ma, una volta accertato che erano tutti partigiani, che cosa potevamo fare?" Non è vero: molte delle vittime erano civili. Alla domanda se si fosse pentito risponde: "Sì certo, ma solo perché gli italiani mi tengono sotto controllo". Dopo l’intervista, Konrad si dimette da tutte le sue cariche. Il 31 gennaio 2006, ormai 91enne, viene mandato a processo dai giudici di La Spezia. Solo allora il suo partito decide di sospenderlo in attesa del giudizio. Ma tra rinvii e interruzioni, Konrad non farà in tempo a vedere la fine del processo: il 15 agosto 2006 è morto nel suo letto.

articolo 10 03                                                                                                    Georg-Hennig Hans von Heydebreck (Potsdam 1903 – Ahrensburg 1976)

Georg-Hennig von Heydebreck ha solo vent’anni quando l’8 novembre 1923 si schiera con altri cadetti al fianco di Adolf Hitler nel Putsch di Monasco contro la Repubblica di Weimar. Il primo tentativo di prendere il potere fallisce, ma nel 1935 verrà premiato per il sostegno al Fuhrer con una delle decorazioni più prestigiose del Partito nazista, pur non essendo iscritto. Una medaglia per la sua uniforme, molto imbarazzante da giustificare quando nel 1947 verrà valutato dalle commissioni di denazificazione: si scuserà, sostenendo di non essersi reso conto di aver partecipato ad un’azione illegale e di aver ricevuto l’onorificenza senza averla richiesta. La Germania gli crederà e il procedimento verrà archiviato. Ma, per tutta la vita, Heydebreck porterà un altro segreto con sé. Erede di una famiglia prussiana di proprietari terrieri e ufficiali, ha la carriera militare nel sangue: partecipa nel 1940 all’invasione della Francia e poi a quella dell’Urss. Nel 1943 diventa colonnello e nell’aprile del 1944 si trova in Toscana, dove gli viene assegnata il comando di un reggimento panzer della divisione Hermann Göring. Ed è proprio in Italia che Heydebreck partecipa a diversi rastrellamenti di civili e partigiani, come quello di Vallucciole, una piccola frazione in provincia di Arezzo. Dopo alcuni scontri con la resistenza, qui il 13 aprile 1944 i tedeschi decidono di fare terra bruciata: sono Heydebreck e i suoi uomini a dare inizio alla carneficina. A Vallucciole e dintorni vengono massacrati oltre 100 civili, la metà dei quali donne. Alcuni vengono rinchiusi nelle loro case e mitragliati, altri messi al muro o bruciati vivi. Nessuno sopravvive al massacro. Fra le vittime c’è Angiola Gambineri, rinvenuta nascosta dietro ad un armadio con il suo bimbo di due mesi: li hanno uccisi con un colpo al petto. Le violenze sono talmente gravi da smuovere anche Mussolini in persona, che chiede spiegazioni all’ambasciatore tedesco. La Wehrmacht avvia un’indagine, ma i fatti vengono dissimulati e minimizzati.

Quando finisce la guerra Heydebreck è in ospedale per i postumi di un ferita: in Baviera viene fatto prigioniero dagli americani, ma poco dopo torna libero e può cominciare una nuova vita. Nel 1948 apre un impianto di vulcanizzazione di pneumatici, per poi trovare un lavoro più adatto a lui nella fabbrica automobilistica Daimler Benz. Ma la carriera militare gli manca e così si arruola nel Bundeswehr, l’esercito della Repubblica federale, dove gli vengono riconosciuti i gradi di colonnello. Nel 1956 si dedica alla politica, iscrivendosi alla Cdu, il partito democratico cristiano di cui farà parte anche Angela Merkel. Segue le orme del fratello avvocato Claus-Joachim che, oltre ad aver aiutato l’ex maggiore delle SS Walter Reder nella sua difesa durante il processo del 1951 a Bologna, è diventato un uomo di punta della Cdu: prima presidente del Parlamento regionale del suo Land, e poi ministro sia dell’istruzione che della giustizia. Nessuno ha mai cercato Georg-Hennig Hans von Heydebreck per il suo passato: morirà con il suo segreto nel 1976.

articolo 10 04                                                                                                                       Max Adam Saalfrank (Baviera 1911 – Baviera 1993)

Figlio di un carpentiere, dopo la scuola media viene assunto come apprendista tipografo in un piccolo quotidiano locale. Nel 1939 si iscrive al partito nazista e lavora nel giornale Bayerische Ostmark, l’organo regionale ufficiale del partito. Entra nelle SS e si converte al gottgläubig: una religione ispirata dal Reich per affrancarsi dalla chiesa cattolica o protestante, che sosteneva l’esistenza di un essere superiore. Nel 1934 viene subito istruito alla violenza e fa parte delle guardie del campo di concentramento di Dachau. Con il suo reparto partecipa alla Notte dei lunghi coltelli, la resa dei conti tra corpi armati hitleriani, eliminando armi alla mano i rivali delle Sa, l’originario servizio d’ordine del partito. Saalfrank per diversi anni porta lo stemma del teschio sulla divisa, diventando sottotenente nei reparti corazzati Totenkopf, Testa di morto.

All’inizio dell’estate del 1944 è in Italia ed è al comando della 5a compagnia del battaglione esplorante guidato Walter Reder della 16a divisione di fanteria meccanizzata Reichsführer SS. È un ufficiale di assoluta fiducia, e Reder lo nomina come suo sostituto durante l’eccidio di Monte Sole. È lui a dirigere, direttamente in campo, la strage che porterà all’uccisione di circa 770 civili in pochi giorni nel cuore dell’Appennino bolognese. Per aver partecipato a diverse azioni, come quella di Monte Sole, riceve un’altissima decorazione su proposta dello stesso Reder: la croce tedesca in oro. Finita la guerra, di lui si perdono le tracce. In qualche modo torna a casa, come gran parte dei nazisti che, dopo il conflitto, rientrarono nelle loro città d’origine. Saalfrank non si fece mai riconoscere, pur non avendo cambiato nome. Tornò in Baviera, e molto probabilmente visse proprio lì. Nessuno lo ha mai cercato e ha potuto trascorrere una vita nell’ombra fino alla morte, avvenuta nel 1993 in una piccola città termale della Baviera.

articolo 10 05                                                                                                                  Franz Schmidt (Bassa Sassonia 1915 – Amburgo 1971)

"Can’t you see the witch, can’t you see the witch by my side". Stanno finendo gli anni ’60 e questo è il ritornello di The Witch, un singolo che spopola tra la beat generation tedesca. È passato alla radio per la prima volta nel 1968, e a cantarlo sono i The Rattles, l’unico gruppo locale che ha avuto l’onore di esibirsi allo Star Club di Amburgo, la mecca del rock che ospita solo star internazionali. Da quel momento la loro fama è cresciuta, per tutti sono diventati i Beatles tedeschi e vengono contattati dai veri Beatles per aprire i loro concerti. Ma è nel 1970 che il loro nome attraversa l’oceano, proprio con il singolo The Witch, diventando una delle cento canzoni più ascoltate e più vendute in America del periodo. Dietro il successo planetario dei The Rattles, c’è un musicista tedesco: Franz Schmidt-Norden, cacciatore di talenti per l’etichetta Ariola Records, poi inglobata dalla Sony. Per ora ha già arrangiato le canzoni di tantissimi gruppi locali, ma il botto lo ha fatto con i The Rattles. È lui a scoprirli e a fargli registrare i primi dischi, diventando di fatto uno dei produttori più famosi in Germania.

Nessuno sospetta che Schmidt-Norden sia un criminale di guerra. La sua storia comincia anche in questo caso dalla musica. Quando Hitler sale al potere nel 1933, Schmidt ha 18 anni ed è nella banda musicale della marina militare. Nel 1941 fa un salto di carriera e diventa il direttore d’orchestra per il quartier generale delle Waffen-SS di Berlino, pur non essendo iscritto al partito nazista. È un punto di svolta: in questo nuovo ruolo Schmidt ha la possibilità di sviluppare un programma di musica classica molto ambizioso. Durante un concerto alla Berliner Philarmonie fa eseguire la quinta sinfonia di Anton Bruckner e si vocifera che Herbert von Karajan lo abbia lodato pubblicamente per la sua bravura. Schmidt è infatti diventato in poco tempo uno dei giovani direttori d’orchestra più apprezzati nella Germania nazista. La guerra però ha bisogno di soldati e nel 1944 viene mandato al fronte in Italia con la 16a divisione di fanteria corazzata Reichsführer SS e i gradi di capitano. Si ritrova a essere l’assistente del maggiore Helmut Looß, al comando della lotta antipartigiana. All’alba 29 settembre 1944 è alla Creda, una piccola frazione di Monte Sole, sull’Appennino bolognese, alla guida di una squadra d’assalto intenzionata a fare terra bruciata. Dopo aver radunato una novantina di persone nell’aia di una grande casa colonica, li fa andare tutti sotto il porticato di una stalla e piazza una mitragliatrice su un carro agricolo. Passano dai 20 minuti alle due ore, come riportano i pochi sopravvissuti, poi il musicista diventato capitano dà l’ordine: "Aprite il fuoco!". Dopo le raffiche, i suoi soldati lanciano bombe a mano sulle persone e ad alcune sparano alla nuca: ne ammazzano 69, tra cui Valter Cardi, un neonato di soli 14 giorni. Per questa e altre operazioni, Schmidt riceve la croce di ferro di seconda classe e qualche settimana più tardi rientra in Germania per riprendere la direzione della sua orchestra. Finita la guerra, viene sottoposto al processo di denazificazione, ma il suo profilo non è ritenuto pericoloso: sembra solo un musicista. Schmidt continua la sua vita, senza neppure cambiare nome, aggiungendo però un secondo cognome: Franz Schmidt-Norden. Vive ad Amburgo e lavora per la Philips, ma la sua carriera impenna quando nel 1961 entra nell’Ariola Records, e poco dopo scopre i The Rattles. Nessuno ascoltando le canzoni di questo nuovo promettente gruppo tedesco, può immaginarsi che dietro al loro successo ci sia un uomo che ha fatto uccidere a sangue freddo decine di persone.

articolo 10 06                                                                                                            Wolf Ewert (Pomerania, Germania 1905 – Assia, Germania 1994)

Wolf Ewert nasce in una famiglia di vecchi proprietari terrieri e alla fine delle elementari viene iscritto in un collegio militare a cinquecento chilometri da casa. A 19 anni entra nell’esercito e prosegue la sua carriera nelle minuscole forze armate di Weimar: si sposa con la figlia di un generale e ha quattro figli. Con l’arrivo del nazismo è uno dei pochi ufficiali di carriera e viene subito promosso. La guerra lo vede impegnato sul fronte russo e in Ucraina assiste alle rappresaglie contro ebrei e partigiani sovietici. Ne parla spesso nel suo diario di memorie, dove inserisce anche alcune fotografie di impiccagioni. Viene trasferito nel nostro Paese e prima di partire va a vedere la Madame Butterfly di Giacomo Puccini. Ewert ama la cultura classica: conosce il greco e il latino. Nel suo diario non ci sono gli stereotipi anti-italiani tipici di altri ufficiali tedeschi, anzi si trovano espressioni di ammirazione per il mondo mediterraneo. Ha anche delle velleità artistiche e tra un’operazione e l’altra dipinge acquerelli con paesaggi o scene di vita militare.

Nell’estate 1944 è colonnello a capo del reggimento granatieri 274 della Wehrmacht e il 30 giugno incontra per la prima volta i partigiani tra la Toscana e l’Umbria. La sua auto viene danneggiata e una pallottola colpisce il suo berretto senza ferirlo. Un agguato da cui scaturirà la strage di San Polo del 14 luglio 1944. Quel giorno Ewert si trova al comando a Villa Mancini, sulle colline di Arezzo, quando i suoi soldati catturano una cinquantina di civili e ribelli in una base partigiana. Un testimone ha riferito le sue parole davanti ai prigionieri: "A terra quei porci, fateli fuori tutti!". Gli italiani vengono prima torturarti con calci, pugni e tubi di gomma, poi il colonnello dà l’ordine di fucilarli uno per uno con un colpo alla nuca. Gli fanno scavare le fosse, poi li allineano sull’orlo e li ammazzano. Alla fine gettano bombe tra i corpi. Quando termina la guerra resta in prigionia per pochi mesi e si stabilisce con la famiglia nell’Assia del Nord. Sono tempi duri e trova lavoro come manovale, poi ottiene un posto come dirigente pubblicitario per la Volkswagen, impiego che mantiene fino alla pensione. Nel 1967 viene indagato dalla Procura di Gießen per la strage di San Polo, che però archivia il procedimento. Il colonnello ammette di avere ordinato le esecuzioni, senza dare indicazioni precise su come condurle. Ma la legislazione dell’epoca non lo considerava un reato. Mentre la procura ritiene di non potere provare la sua responsabilità nelle torture, nell’avere sepolto persone ancora vive e nello scempio dei cadaveri con gli esplosivi. Così l’ex colonnello è rimasto sereno in libertà a godersi la vecchiaia, fino alla morte nel 1994.

articolo 10 07                                                                                                                     Walter Reder Freiwaldau 1915 – Vienna aprile 1991

È il 24 gennaio del 1985 e Walter Reder è appena atterrato in Austria all’aeroporto Graz-Thalerhof, grazie ad un volo militare italiano. Ad attenderlo sulla pista di atterraggio c’è Friedhelm Frischenschlager, il ministro austriaco della Difesa. Dopo oltre 30 anni di prigionia nel carcere vista mare di Gaeta, il maggiore delle Ss Walter Reder, che si è reso responsabile di alcuni tra i più sanguinosi massacri in Italia, torna a casa a quasi 70 anni. La stretta di mano con il ministro, che lo accoglie come un eroe, crea un caso internazionale e una crisi di governo. Reder trascorre i suoi ultimi anni di vita in Carinzia, riprende a frequentare i suoi vecchi amici durante i raduni di ex reduci delle SS e, come prima cosa, ritratta il suo pentimento. A pochi mesi dal suo arrivo in Austria, dichiara alla stampa che non deve giustificarsi di nulla e che le richieste di perdono e di scuse che aveva mandato alle vittime italiane erano state solo una mossa del suo avvocato.

articolo 10 08                                                                                                                          Raduni ex SS primi anni 70. @Archivio Gentile

Sei anni dopo il suo ritorno, muore a Vienna il 26 aprile 1991: al suo funerale partecipa un pubblico molto numeroso, tra cui diverse ex SS e alcuni membri dell’estrema destra. Durante l’occupazione tedesca in Italia, Reder trasforma le operazioni contro i partigiani in una sequela di massacri contro la popolazione: Vinca, Valla e Bardine San Terenzo e poi Monte Sole, quella erroneamente chiamata strage di Marzabotto, l’eccidio più grave realizzato dai nazisti nell’Europa occidentale. In pochi giorni furono massacrate 770 persone in oltre 100 località sparse tra le montagne dell’Appennino Bolognese, e ad uccidere gran parte delle vittime furono proprio gli uomini del battaglione esplorante della 16a divisione Reichsführer Ss guidato da Reder. Nel 1945 il maggiore viene fatto prigioniero in Austria e nel 1948 estradato in Italia. Nel 1951 il processo celebrato a Bologna lo condanna all’ergastolo.

articolo 10 09                                                                                            Campo sportivo di Oradea, 1944  Walter Reder, comandante del reparto esplorante
                                                                                            della 16a divisione SS, 
si congratula con i militari che sono stati appena decorati dal
                                                                                                                                        comandante di divisione

Per due volte, prima nel ’67 e poi nel ’84, l’ex ufficiale scrive una lettera di perdono ai cittadini di Marzabotto. I familiari delle vittime e i superstiti con un referendum decidono in entrambi i casi di respingere il suo appello. In Italia Reder è il simbolo vivente dei crimini nazisti. Ma in Germania e Austria viene lanciata una campagna di solidarietà, presentandolo come un martire, un capro espiatorio, un sepolto vivo in ostaggio dei comunisti italiani. Nel 1980 anche da noi le cose cominciano a cambiare e il tribunale militare di Bari gli concede la libertà condizionale, riconoscendo "un sincero ravvedimento". Il rilascio definitivo è previsto nel 1985. Ma dopo una serie di trattative che coinvolgono il governo di Vienna e il Vaticano, l’allora premier Bettino Craxi decreta l’estradizione in Austria sei mesi prima della fine della pena.

articolo 10 10                                                                                          Willfried Segebrecht (Anklam, Germania 1919 - Kirchheim unter Teck, Germania 1993)

Mobili, politica e sport, ma soprattutto l’incontro giusto al momento giusto. A Willfried Segebrecht il dopoguerra offre un’opportunità straordinaria. Si è appena stabilito a Kirchheim unter Teck, vicino a Stoccarda, e la fortuna gli fa incontrare Willi Achim Fiedler. Il celebre ingegnere aeronautico è stato tra i padri dei razzi V1 lanciati contro Londra e nella Germania in macerie ha appena aperto una fabbrica di mobili, ma nel 1948 il governo americano gli chiede di trasferirsi negli States per guidare i progetti missilistici. Fiedler ha bisogno di lasciare la sua azienda in mani sicure e si rivolge proprio a Segebrecht, che così diventa un imprenditore di successo. In breve si impone nella vita della comunità ed entra a far parte del consiglio comunale. Si impegna nella promozione dell’attività atletica e collabora a diversi gemellaggi con altre città: è anche tra i soci fondatori di un’associazione locale, la Sfl, che sostiene lo sport e che mantiene ancora la sua foto sul sito web.

Nessuno si preoccupa di approfondire il suo passato. Segebrecht nasce nel nord della Germania, frequenta il liceo classico e a 15 anni è già nella Gioventù hitleriana. Poco dopo si iscrive al partito nazista e nel 1939 entra nelle Waffen-SS, dove diventa sottotenente. Nel 1944, quando viene assegnato alla 16a divisione Reichsführer SS come comandante di compagnia. Partecipa insieme al maggiore Walter Reder ai massacri di civili nell’Italia settentrionale. Il 24 agosto 1944 Segebrecht penetra con i suoi soldati nel villaggio di Vinca, dove vengono rastrellati e uccisi 174 civili: solo 60 delle vittime sono uomini, il resto sono donne, bambini e anziani. A dare man forte ai tedeschi c’è anche la brigata nera fascista guidata da Giulio Ludovici. Qualche settimana più tardi Segebrecht è a Cadotto, una località dell’Appennino bolognese distrutte nel grande eccidio di Monte Sole. Dopo lo scontro con i partigiani della Stella Rossa, sgombera tutti i casolari della zona e ordina fucilazioni di massa. I civili vengono fatti uscire dalle loro case, allineati contro i muri e mitragliati. I cadaveri vengono abbandonati: a terra restano i corpi di 50 persone, anche in questo caso in gran parte donne, bambini e alcuni neonati. Finita la guerra Segebrecht viene preso prigioniero dagli alleati in Austria e rilasciato dopo meno di un anno. Ha trascorso il resto della vita come uno stimato imprenditore, morendo a 72 anni: la sua città gli ha persino tributato una medaglia al merito civico per il suo impegno sociale. Eppure l’ex ufficiale non ha mai smesso di avere rapporti con i suoi vecchi camerati, partecipando ai raduni dell’associazione dei reduci della 16a divisione SS.

articolo 10 11                                                                                                                       Josef Strauch (Alta Slesia 1910 – Magonza 1970)

Josef Strauch è sempre stato un uomo con gli agganci giusti e una rubrica di contatti invidiabile, ma forse questo incarico proprio non se lo aspettava. È il 1965 e, grazie al partito Gesamtdeutscher Block (Gb), è riuscito ad intercedere all’interno del Parlamento regionale per ottenere un nuovo lavoro. Strauch entra così dentro il dipartimento dell’istruzione per gli adulti e viene inserito in una delle principali realtà che promuovono l’educazione democratica dei cittadini. Ma forse ai parlamentari è sfuggito un paradosso. D’ora in poi ad occuparsi della cultura politica di migliaia di persone ci sarà un uomo che sul curriculum vitae ha una condanna per crimini di guerra. Nessuno, però, sembra farci caso e continuerà a ricoprire questo ruolo fino alla sua morte nel 1970.

Josef Strauch nasce in una famiglia della piccola borghesia. Nel 1929 si arruola nella Reichswehr, le forze armate della Repubblica di Weimar. Ufficiale di lungo corso, nel 1944 è in Toscana con la Wehrmacht alla guida del reparto esplorante corazzato della 26a divisione. Ed è affidato proprio a lui il compito di dirigere sul campo "un’azione di ripulitura" contro i partigiani nella zona di Padule di Fucecchio: l’azione inizia la mattina del 23 agosto 1944 e prevede l’uccisione di chiunque venga incontrato. In una manciata di ore vengono ammazzate 175 persone: la vittima più giovane ha 5 mesi, la più anziana 93. Dopo la guerra Strauch viene catturato dagli alleati e consegnato alla giustizia italiana, che nel 1947 lo condanna a sei anni di detenzione per concorso alla strage del Padule. Una pena che dura poco, perché nel 1950 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, su intercessione dello Stato tedesco, decide di graziarlo e Strauch torna in Germania da uomo libero.

Inizia a lavorare prima come traduttore, poi come capo del personale della sezione locale dell’International refugee organization dell’Onu, e nel 1951 si attiva per l’organizzare dell’assistenza legale a Walter Reder, il maggiore delle SS sotto processo a Bologna. Gli trova un buon avvocato, grazie al sostegno del Zentrale Rechtschutzstelle, un ente creato dal governo Adenauer per sostenere i cittadini tedeschi condannati per crimini nazisti da tribunali stranieri, ma non solo. Ottiene anche l’aiuto di Stille Hilfe, un’organizzazione privata di assistenza che ha favorito la fuga di alcuni dei massacratori del Terzo Reich più famigerati. La sua solidarietà a Reder va oltre: si reca di persona a Bologna a raccontare il processo per le riviste dei reduci tedeschi. La sua attività politica inizia con l’adesione al Gesamtdeutsche Block, un partito nazional-conservatore, dove diventa prima il segretario del suo Land per poi ricoprire lo stesso incarico a livello nazionale. Nel 1962 il partito si scioglie, ma l’uomo degli agganci non si perde d’animo e chiude la sua carriera lavorativa con l’incarico di occuparsi dell’educazione democratica della cittadinanza. Nessuno, dopo la grazia del presidente Einaudi, gli ha mai più ricordato il suo passato, nonostante la sua ostentata militanza nelle reti dei reduci e il sostegno all’imputato Reder: la Germania voleva solo dimenticare le pagine più orrende del suo passato.

articolo 10 12                                                                                            Helmut Looß (Eisenach, Germania 1910 - Brema 1988)

Helmut Gessert è stato un insegnante molto stimato e attivo a Brema. Dal 1946 si è occupato della formazione dei più piccoli ed è talmente sicuro di sé che nel 1954, dopo l’approvazione di una legge che concede una generale amnistia ai nazisti, decide di svelare la sua vera identità. Helmut Gessert torna a essere Helmut Looß e rimane tranquillamente in cattedra. Probabilmente i vertici dell’istituto ignorano che il loro apprezzato docente è stato uno dei responsabili della strategia della "terra bruciata" contro i paesi italiani che ospitavano i partigiani. L’apice di una carriera precoce, tutta nel segno della svastica. Helmut Looß già in tenera età si rivela un bambino dotato. Frequenta un istituto dedicato agli allievi più intelligenti delle aree rurali, si iscrive a legge e a filosofia: a 25 anni è già un giovane intellettuale nazionalsocialista che si occupa di formare l’élite amministrativa del Terzo Reich.

Nel 1936 entra nel Sd, il servizio di intelligence delle SS, e nel 1942 viene mandato sul fronte orientale, il grande laboratorio della brutalità hitleriana. Nell’estate del 1944 arriva in Italia e prende il comando della 16a divisione Reichsführer SS, trasformandosi nel maggiore responsabile della lotta antipartigiana in Italia. Qui applica la lezione delle operazioni condotte in Ucraina, guidando i suoi uomini nelle stragi più orrende. È presente a Sant’Anna di Stazzema durante l’eccidio e partecipa alle fasi preparatorie dei massacri di Bardine San Terenzo, Valla, Vinca e Monte Sole. Finita la guerra, il suo nome emerge subito nel corso dei processi ma diversi testimoni sostengono che sia morto in combattimento. Per questo motivo nessuno lo cerca, anche se già nell’estate 1945 ricompare in Germania. Looß riesce ad celare il suo passato: sostiene di aver lavorato per un noto architetto e di aver evitato il servizio militare. Nessuno quindi sospetta di lui e per anni vive indisturbato, occupandosi della formazione di decine di bambini in una piccola scuola di Brema.

Nel 1961 si candida con il partito liberale democratico Fdp per un seggio al parlamento tedesco, mentre nel tempo libero è un socio molto attivo di un’associazione civica. Ma la giustizia non si è dimenticata di lui: nel 1965 viene aperto a Brema un procedimento penale per i crimini sul fronte orientale. Il Comune decide di sospenderlo dal suo incarico di insegnante e di ritirare la sua nomina a pubblico funzionario per frode, permettendogli comunque di ricevere ogni mese metà dello stipendio. L’indagine si conclude con un non luogo a procedere perché i reati sono ormai considerati prescritti. Nessuno gli contesterà mai il suo ruolo nelle stragi di donne, bambini e anziani nei borghi dell’Appennino. Looß muore da uomo libero a Lilienthal nel 1988.

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Insegnanti, droghieri, politici, uomini d’affari, pubblicitari e produttori musicali. Tutte vite normali, con i loro problemi e i loro successi, che non hanno quasi niente di speciale, se non un passato da dimenticare. È la banalità del male che emerge, esplorando le storie dei nazisti che hanno continuato a vivere come se nulla fosse dopo aver ammazzato migliaia di civili in Italia. Nessuno di loro, ha mai commesso altri omicidi e quasi tutti dopo la guerra hanno cercato di reintegrarsi nella società tedesca. Come? Oggi sappiamo che molti massacratori hanno dormito sogni tranquilli fino all’ultimo dei loro giorni, non sono mai stati condannati e dopo il 1945 sono tornati semplicemente a casa. Storie così banali da risultare incredibili e che ora, grazie ad un portale online, "NS-Täter in Italien" possiamo conoscere nei dettagli. Un’iniziativa dell’Università di Colonia, finanziata dal ministero degli Esteri della Germania nell’ambito del Fondo per il futuro italo-tedesco e sviluppata con tre partner italiani: la Scuola di pace di Monte Sole, il Parco nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema e l’associazione culturale Archivio Zeta. Si tratta di un progetto che per la prima volta incrocia volti, fotografie, diari e lettere di guerra, ma anche deposizioni processuali e interviste, per restituirci il ritratto dei Täter, gli autori delle principali stragi avvenute in Italia sotto l’occupazione tedesca.

Una delle pagine più buie della nostra storia che costò la vita ad oltre 70 mila italiani: più di 10 mila erano civili e sono stati massacrati in esecuzioni di massa. A coordinare il progetto ci sono uno storico italiano, Carlo Gentile, e un giornalista tedesco, Udo Gümpel, che a partire dagli anni ’90 hanno dedicato gran parte della loro vita, a ricostruire le storie dimenticate di questi massacratori. "In Germania per anni le persone hanno creduto al mito della guerra pulita condotta dalla Wehrmacht, individuando solo alcuni grandi capri espiatori a cui addossare tutte le colpe - spiega Carlo Gentile, docente nel dipartimento di Studi ebraici all’Università di Colonia -. Mentre da noi per diversi decenni è stato quasi impossibile ottenere informazioni. Vedere gli autori delle stragi come dei mostri risponde ad un nostro bisogno di rassicurazione, di distinguere tra il bene e il male - sottolinea Gentile -. È una visione tranquillizzante. Dobbiamo invece accettare che i crimini commessi allora fanno parte della cultura europea e del modo di fare la guerra delle potenze occidentali". Dal dopoguerra ad oggi quasi tutti i responsabili delle stragi in Italia sono rimasti impuniti, e solo a partire dagli anni 2000, quando ormai erano quasi tutti morti, si è tornati ad indagare sul loro passato. Sia in Italia che in Germania si è aperta l’ultima stagione dei processi, che si è conclusa tra luci e ombre con la graduale scomparsa degli imputati tra archiviazioni e condanne mai applicate. "Il cliché della Germania che, a differenza dell’Italia, ha fatto i conti con il passato, è vero solo in parte. La cultura della memoria tedesca di oggi è il risultato di un cammino lungo e tortuoso, che ha coinvolto la società intera e ha distrutto molte famiglie. Oggi questo peso è passato alla generazione dei nipoti e possono forse più di altri costruire una nuova cultura della memoria " racconta Gentile, che vive in Germania da quarant’anni. Dagli anni ’90 ha iniziato ad identificare decine di nazisti per le procure tedesche e italiane, partecipando come consulente a due dozzine di indagini e processi. "I temi legati alla guerra e all’occupazione tedesca in Italia, mi girano intorno da tutta la vita. Per alcuni storici è senso del dovere, per altri come me è la complessità di quel periodo, ancora tutta da studiare, che mi affascina".

Il progetto: NS – Täter in Italien. Le stragi nell’Italia occupata 1943–1945 nella memoria dei loro autori

Crediti foto ritratti: Bundesarchiv, Rbb.Red Kontraste, Udo Gumpel/René Althammer, Der Spiegel

 

 

 

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