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dalla nostra inviata Brunella Giovara, dalla nostra inviata Brunella Giovara
la Repubblica 26 GENNAIO 2023
La collaborazione dei nostri militari con le SS è ormai accertata. Da qui Primo Levi partì per Auschwitz
Campo di concentramento di Fossoli
FOSSOLI - Di questi tempi, conviene farsi un giro al campo di concentramento di Fossoli. Un posto ora quieto, nelle nebbie della bassa modenese. È stato un luogo di dolore disperato, addii, e non ritorni. Migliaia di deportati per lo più italiani, 6mila tra ebrei e politici, sono passati da qui per andare a morire nei lager tedeschi e polacchi. Uno dei sopravvissuti, che era Primo Levi, ricordò che il giorno della partenza per Auschwitz, alla stazione di Carpi disse a un milite italiano (un emiliano, uno forse persino spaventato da quello che vedeva e faceva) "faccia il ladro, è molto più onesto". Intorno, botte da orbi a chi tardava a salire sul treno. "Si ricordi che lei ne è complice", poi anche lui entrò nel vagone. Abbiamo dimenticato questi fatti. Molti ricordano il regime di Mussolini come giammai ostile verso gli ebrei, minimizzando le leggi razziali del 1938, omettendo i provvedimenti della Repubblica sociale che diedero il via alla caccia all'ebreo.
"Gli ebrei in questa guerra sono nemici e vanno trattati come tali", lo stabilì la Carta di Verona. E poi Buffarini Guidi ne ordinò la cattura, stabilendo che quelli presenti sul suolo italiano andavano internati in un luogo definito, in attesa di finire nel campo speciale di Fossoli. Marzia Luppi, direttrice della Fondazione Fossoli, ha appena inaugurato una mostra sui ritratti fatti nel campo da Armando Maltagliati e Lodovico Belgiojoso, e ricevuto alcune lettere preziose, donate dai discendenti di Carlo Prina. Il partigiano e reclutatore di partigiani Prina venne ucciso nella strage del poligono di Cibeno, non lontano da qui: 67 persone mitragliate dalle Ss, ed erano tutti prigionieri di Fossoli, nel punto esatto "dove comincia il tema della responsabilità italiana nella cattura e deportazione degli ebrei, e non solo", spiega la dottoressa Luppi.
Il 12 luglio 2021 il presidente della Commissione europea David Sassoli venne per l'anniversario, assieme a Ursula von der Leyen, una tedesca. La presidente del Parlamento europeo disse "è stato un soldato tedesco a ordinare di uccidere i vostri genitori e i vostri nonni. È una colpa profonda nella storia del mio Paese". Certo, ma Fossoli era un campo di concentramento per ebrei della Rsi, e la sola autorità a cui rispondeva era la questura di Modena. Italiani, brava gente, volenterosi esecutori di ordini interni, prima che di quelli nazisti. Non zona grigia, ma nera proprio, e non solo per il colore delle divise. Fabio Levi, storico e presidente del Centro Internazionale Primo Levi: "Fossoli è la prova provata che i tedeschi e gli italiani agivano insieme. Ed è un nome che tutti dovrebbero imparare a memoria, visto che molti lo pronunciano ancora nel modo sbagliato, cioè Fossòli". Lì ci fu "la collaborazione concreta, nei fatti, nell'avvio della deportazione, e non ci possono essere equivoci sui fascisti di allora e quelli che sono venuti dopo: i neofascisti sono gli eredi dei repubblichini, quei fascisti incattiviti che se la presero con gli ebrei".
In quella zona nera, gli italiani facevano il loro lavoro: "Cercare gli ebrei. Le forze di polizia della Rsi conoscevano bene il loro territorio, e soprattutto avevano un'ottima documentazione per trovarli", spiega Luppi. Erano gli elenchi del censimento avviato nel 1938 dopo il Manifesto della razza, e concluso nel 1939, con la schedatura di oltre 47mila persone (la fonte è il Governo). La caccia fu semplice e "il primo convoglio partì il 26 gennaio del 1944, con 83 prigionieri, caricati dalla polizia italiana sui camion e portati alla stazione di Carpi, dove li aspettava il treno per Bergen Belsen. Qui i nazisti li presero in consegna. Ma quando si parla di questi crimini, si tende sempre ad addossare le colpe ai tedeschi. Le responsabilità italiane passano ancora sotto silenzio". E anche la seconda spedizione (19 febbraio), fu permessa e attuata con la collaborazione della questura di Modena. E così la terza: 22 febbraio, il treno su cui salì Primo Levi, con destinazione Auschwitz. Il 15 marzo 1944 il comando germanico di Verona prende possesso di un'area di Fossoli, il cosiddetto campo nuovo. Luppi: "L'altro resta gestito dalla questura. E si spartiscono le persone. Ma gli italiani mantengono il controllo su tutta l'area del campo", e purtroppo.
di Francesco De Leo Newsletter quindicinale. 12 ottobre 2023 14 OTTOBRE 2023AGGIORNATO 08 NOVEMBRE 2023
Questo numero di Storie di Storia è dedicato ad uno dei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il 16 ottobre del 1943, i nazisti, con la collaborazione dei funzionari del regime fascista, diedero inizio al rastrellamento degli ebrei nel Ghetto di Roma. 1.259 persone (689 donne, 363 uomini e 207 bambini) furono deportate su camion militari in quello che sarà ricordato come il Sabato Nero. Come ha scritto nel suo ultimo editoriale il direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari, “I pogrom come le stragi naziste avvenivano durante i giorni di preghiera, nella convinzione di andare a colpo sicuro, con più ebrei da uccidere”. Fu così quel 16 ottobre del ‘43, è stato così lo scorso 7 di ottobre 2023, perché - come scrive Molinari - “la Jihad ripropone oggi contro gli israeliani le più efferate metodologie di eliminazione degli ebrei con l’intento di scaraventare sulle vittime un odio superiore ad ogni immaginazione, al fine di precipitare nel terrore un popolo intero ed obbligarlo a fuggire, ponendo fine all’esistenza dello Stato ebraico”. Assieme al racconto su quei fatti dello storico Claudio Vercelli, leggerete l’analisi di Ruben Della Rocca sull’odio anti ebraico ad 80 anni dall’inizio delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei in Italia, nei giorni della guerra terroristica lanciata da Hamas a Israele. Per non dimenticare. Buona lettura.
16/10/1943 IL SABATO NERO
LA STORIA
Di Claudio Vercelli (Storico contemporaneista, docente a contratto all’Università Cattolica di Milano)Il 16 ottobre 1943 non rimane solo il giorno della vergogna ma anche un chiaro richiamo ad un luogo dell’ignominia. Quel sabato, consacrato al riposo nell’ebraismo, nell’Italia occupata dai nazifascisti, si compì uno dei peggiori crimini che la nostra storia nazionale possa ricordare: la cattura di una rilevante parte degli ebrei romani. L’azione venne poi conosciuta anche come «rastrellamento del ghetto di Roma». Era tale poiché si concentrò nella capitale, avendo come tragico epicentro via del Portico d’Ottavia come anche le aree immediatamente adiacenti al pari di altre zone della città. Tra le cinque e mezza del mattino e il primissimo pomeriggio, 1.259 cittadini (per metà donne, per più di un quarto uomini e per la parte restante minori), appartenenti alla «razza ebraica», così come il regime fascista già nel 1938 si era incaricato di definirli, venne arrestata. Ad adoperarsi in tale ruolo vi erano non solo i militari germanici appartenenti alle SS e alla polizia ma, come sempre capita nei sistemi di occupazione, anche funzionari della Repubblica sociale italiana, un regime fantoccio creato poche settimane prima - dopo i fatti sconvolgenti dell’8 settembre, e quindi della firma dell’armistizio con gli Alleati - per garantire il controllo germanico dell’Italia non ancora liberata. Si trattava di un’evidente prova di forza tra poteri, avendo come preda un indifeso numero di persone, quasi tutti cittadini italiani, in quella che è la città per eccellenza del cattolicesimo nonché la capitale di un Paese che era stato la culla del fascismo prima per poi divenire l’alleato, tra il 1940 e il 1943, del nazionalsocialismo nella guerra di sterminio. Delle 689 donne, dei 363 maschi e dei 207 bambini catturati, ben 1.023 furono deportati ad Auschwitz. Di essi, ne sopravvissero sedici (tra i quali una sola donna, Settimia Spizzichino). Poco prima di avviare in un convoglio merci quanti erano inesorabilmente destinati alla morte, secondo la rigida contabilità tedesca, basata su leggi e disposizioni inappellabili, furono rilasciati i componenti delle cosiddette famiglie di «sangue misto». Il macello, per capirci, doveva avvenire in maniera sistematica. Quindi, con metodo e non certo per via di un agire casuale, dettato dal momento. Nella logica nazista, non si trattava di esercitare una vendetta ma di trasformare l’Europa nella sua composizione sociale e demografica. Gli ebrei, espressione più infima e pericolosa delle «razze inferiori», dovevano essere cancellati. Ovunque. La presenza ebraica a Roma datava a due secoli prima della nascita di Gesù. Si trattava del cuore popolare di quella che nel mentre era divenuta la capitale dell’Italia. Con essa, quindi, della Penisola intera. Non a caso, nel primo autunno del 1943, la stima degli ebrei presenti in città, che assommava i residenti, come tali censiti e registrati alle anagrafi, i rifugiati ed eventuali clandestini (per ragioni politiche, oltre che legali e amministrative) portava ad oltre diecimila il numero di persone interessate. I tedeschi ne erano ben consapevoli. Nella sua perfidia politica, inoltre, Berlino sapeva perfettamente che Roma era una città nella quale la presenza della Santa Sede costituiva un elemento di ulteriore rilevanza, in ragione del quale misurare gli effetti di un’azione di forza quale sarebbe stato il sequestro e la deportazione della sua popolazione ebraica. Non a caso, già il 10 settembre Herbert Kappler, comandante della Gestapo e del servizio di sicurezza delle SS nella capitale italiana, aveva ricevuto dai suoi superiori l’ordine di dare corso con celerità e determinazione alle operazioni antiebraiche. Il 26 settembre, veniva quindi intimato ai presidenti della Comunità ebraica romana e a quello dell’Unione delle comunità israelitiche di consegnare, in non più di trentasei ore, cinquanta chilogrammi d’oro, pena la deportazione di duecento maschi. Il taglieggiamento si risolse con la consegna di quanto richiesto. Nei primi giorni di ottobre un gruppo di uomini comandati da Theodor Dannecker, collaboratore di Adolf Eichmann, giunse nella capitale. Il suo compito era precisamente quello di organizzare la cattura degli ebrei. Al presidio originario si aggiunsero altri specialisti della «soluzione finale della questione ebraica». Ognuno di essi aveva già maturato un’esperienza in tale senso. operando nell’Europa orientale. A loro disposizione vi era la documentazione così come l’apparato logistico necessari per assolvere ad un tale compito. Il 14 ottobre Kappler ordinò il saccheggio dei beni conservati nelle biblioteche della comunità e del collegio rabbinico, oltre agli elenchi degli iscritti. Nel mentre, il comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Höss, riceveva la comunicazione che entro una settimana sarebbe arrivato il convoglio da Roma con almeno un migliaio di deportati. All’alba di sabato 16 ottobre alcune centinaia di uomini della polizia d’ordine tedesca procedettero quindi ad una sistematica azione di rastrellamento, usando le liste del censimento degli ebrei in Italia, fatte redigere da Mussolini nel 1938, insieme a tutti i documenti anagrafici a disposizione. La procedura era sempre la medesima: gli uomini, perlopiù appartenenti a reparti di riservisti e già impegnati nella sorveglianza del territorio urbano, dovevano bloccare le vie di accesso nelle zone sottoposte a sistematico controllo, per poi procedere al rastrellamento di isolato in isolato e di condominio in condominio. Si trattava, ancora una volta, di un’azione concertata, destinata ad essere eseguita con il massimo coordinamento e la maggiore celerità possibile, per spiazzare le vittime, impedire le fughe e neutralizzare qualsiasi tipo di reazione. Malgrado le scene disperate che si ripeterono, i militari non dovettero fare ricorso alle armi se non come strumento di intimidazione. I 1.259 catturati furono quindi trasportati al Collegio militare di Palazzo Salviati, dove vi rimasero una trentina d’ore. Così commentava Kappler, in un rapporto: «in relazione all’assoluta sfiducia nella polizia italiana, per una simile azione, non è stato possibile chiamarla a partecipare. […]. Dopo la liberazione dei meticci e degli stranieri (tra questi un cittadino vaticano), delle famiglie di matrimoni misti compreso il coniuge ebreo, del personale di casa ariano e dei subaffittuari, rimasero presi 1.007 giudei. Il trasporto [è] fissato per lunedì 18 ottobre ore 9». La popolazione romana, laddove avvertita di quanto stava succedendo, si adoperò, ove possibile, per mettere in salvo i fuggitivi, sottraendone un certo numero dalle grinfie naziste. Una donna cattolica, che aveva in affido un giovanissimo ebreo, molto malato, decise di non abbandonarlo, seguendone quindi la sorte. I deportati, nella mattinata del 18 ottobre, furono trasferiti alla stazione Tiburtina dove li attendeva un convoglio composto da diciotto carri bestiame. Alle 14 il treno, scortato da una ventina di membri della polizia d’ordine tedesca, partì, per arrivare quindi ad Auschwitz nella tarda serata del 22 ottobre. All’alba del giorno successivo, i portelloni furono aperti. Nel mentre già un paio di persone anziane erano decedute. Alla selezione, all’ingresso di Birkenau, 820 vittime furono giudicate inabili al lavoro, condotte alle camere a gas e assassinate. La parte restante fu utilizzata nei lavori forzati, anche in altri campi, nei quali vi perirono pressoché quasi tutti, con l’eccezione di sedici sopravvissuti. Il numero complessivo degli ebrei deportati di religione ebraica nel periodo dell'occupazione tedesca di Roma fu di 2 091 (dei quali 1 067 uomini, 743 donne e 281 bambini). Sopravvissero in 101. Il Vaticano, venne informato in tempo reale di quanto stava succedendo «sotto gli occhi del Padre Comune». Fu anche lasciato intendere che se i rastrellamenti fossero proseguiti, Pio XII avrebbe forse potuto pronunciarsi pubblicamente contro di essi. I tedeschi, al riguardo, pur essendo determinati nei loro obiettivi, intendevano garantirsi il maggiore silenzio possibile e, con esso, il minore clamore. Neanche la richiesta del rilascio degli ebrei battezzati venne comunque soddisfatta. Di fatto il Papa tacque, o si espresse per interposti strumenti, come nel caso di un articolo sull’«Osservatore romano», pubblicato il 26 ottobre, dove ci si esprimeva al riguardo in termini comunque incomprensibili per coloro che non avessero conosciuto dal vivo i tragici eventi. Mentre invece il pontefice indicò la necessità di dare soccorso ai perseguitati. Anche da ciò, quindi, il riparo clandestino offerto, fino alla liberazione di Roma il 4 giugno, di 4.447 ebrei nei conventi e nelle strutture religiose capitoline.
LA SCHEDA
Il Ghetto di Roma
Nel medioevo e nel rinascimento le città erano divise in zone abitate in genere da gruppi uniformi per provenienza oppure per mestiere. Anche gli ebrei facevano in modo di vivere vicini fra loro, in strade o quartieri chiamati giudee o giudecche. La vicinanza era motivata da rapporti di parentela e di conoscenza, e dalla prossimità ai servizi comuni come, nel caso degli ebrei, la sinagoga, le macellerie kasher e il bagno rituale. Questi quartieri erano parte viva e integrata delle città. Nel Cinquecento, invece, i governanti decisero in molti luoghi di chiudere gli ebrei dentro a un ghetto, ossia un quartiere-prigione, un recinto chiuso da muri e cancelli, impedendo loro di fissare liberamente la loro residenza, e limitando la loro libertà con divieti di ogni sorta, come quello di fare determinati mestieri. Questo fenomeno è collegato all’espansione dell’Islam, all’avanzare della Riforma protestante e alle contromisure prese dagli stati cattolici, con la Controriforma, in nome di una fede più rigorosa, che imponeva la separazione dagli eretici e da tutti coloro che vivevano nell’errore e nel peccato. Il 14 luglio 1555 papa Paolo IV Carafa promulgava la bolla Cum Nimis Absurdum. “Essendo davvero assurdo” che gli ebrei vivessero insieme ai cristiani, venivano elencate regole tali da separarli per secoli. Veniva dunque istituito, sulla riva del Tevere dove il fiume spesso straripava, un ghetto, una zona recintata con due cancelli, e al suo interno un solo edificio per la sinagoga. Tutti gli ebrei dovevano esservi radunati, anche quelli che vivevano nelle campagne intorno a Roma. Gli ebrei dovevano vendere le loro case, anche quelle all’interno del Ghetto, e pagare un affitto. Ne derivò una speculazione immobiliare da parte di istituti religiosi e famiglie nobili, poi appena mitigata dall’introduzione dello jus gazagà, una sorta di equo canone. Gli ebrei dovevano indossare un segno giallo per distinguersi, e non potevano avere servitori cristiani. I medici ebrei non potevano curare i cristiani, i commercianti potevano vendere solo oggetti usati, e ai prestatori di denaro venivano imposti vincoli per favorire i Monti di Pietà cristiani. I pontefici successivi modificarono queste disposizioni, in positivo come Sisto V o in negativo come Pio VI, ma comunque il ghetto durò dal 1555 al 1870, con brevi interruzioni per l’arrivo degli eserciti di Napoleone (1798-1799; 1808-1814) e durante la Repubblica Romana (1848-1850). Dall’epoca del papato di Gregorio XIII (1577) gli ebrei venivano obbligati ad assistere, preferibilmente di sabato, alle prediche coatte. Durò fino all’Ottocento anche la triste pratica dei battesimi forzati. Il battesimo veniva a volte amministrato ai bambini anche contro la volontà dei genitori; dopo la conversione era impedito per sempre ogni contatto con la famiglia, e il ritorno alla fede ebraica veniva considerato eresia e punito con la morte. Dal 1466 furono organizzate, durante il carnevale, gare di corsa riservate agli ebrei. Presto questi spettacoli divennero disonoranti, con gli ebrei costretti a correre nudi e bersagliati dal fango, e nel 1668 vennero aboliti.
Fonte: I tesori del Museo Ebraico di Roma, Daniela di Castro, Araldo De Luca Editore
L’ANNIVERSARIO
L’odio anti ebraico 80 anni dopo
Di Ruben Della Rocca (Già Vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma).
È un anniversario triste quello che ci apprestiamo a vivere con gli 80 anni dall’inizio delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei italiani nei campi della morte nazisti della seconda guerra mondiale. Quest’anno il numero tondo acuisce il dolore. Un dolore che diventa insopportabile e carico di angoscia per quanto sta accadendo in Israele in questi giorni ed in queste ore. Centinaia di morti, migliaia di feriti, decine e decine di bambini, giovani, anziani, soldati e civili rapiti e deportati a Gaza, colpevoli solamente di essere ebrei e di amare la vita, la libertà e la democrazia. Gli scempi delle SS nel 1943 ripetuti da Hamas in questi giorni con la stessa identica matrice, un odio profondo e viscerale contro gli ebrei. 80 anni rappresentano la vita di un uomo nella sua Interezza eppure sembrano un soffio davanti all’intramontabile dimensione della tragedia. Sarà una giornata intensa vissuta sull’onda delle emozioni, un momento di riflessione condiviso assieme alle più alte cariche dello Stato, in Italia ed a Roma, città colpita mortalmente in quelle giornate così nefaste non solo per i cittadini di religione ebraica vittime del rastrellamento, della cattura e delle persecuzioni, ma per tutti i cittadini che ne vivranno ricordo con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non possiamo però esimerci dal compiere riflessioni e lanciare allarmi sulla situazione attuale dell’antisemitismo nel nostro paese e nel mondo. Se quel motto “MAI PIÙ” è risuonato nel cuore e nelle menti di tanti, ripartendo proprio dalle ceneri di Auschwitz, nel pensiero di un vecchio continente unito e solidale, proprio dall’Europa che speravamo ormai immune e vaccinata da stereotipi, discriminazioni ed odii antiebraici, dalle nostre città che hanno vissuto il dramma delle persecuzioni, riparte quel magma virale che rischia di diventare una eruzione incontrollabile. Gli episodi di antisemitismo in Europa già prima della pandemia, nel triennio 2017/2019 avevano vissuto un deciso incremento. La fonte di tale odio ha varie matrici culturali: dai movimenti suprematisti e nazifascisti al crescente sentimento antiebraico degli immigrati dai paesi arabi di seconda e terza generazione nati in Europa, fino ai movimenti politici antisionisti. Quel che desta maggiore preoccupazione è l’adesione ideologica, in larghi strati dell’opinione pubblica al punto tale, per questi movimenti, da riuscire ad inserire loro esponenti nelle istituzioni e nei parlamenti di molti paesi. I dati post pandemia sono ancora più crescenti e segnalano un aumento ulteriore degli stereotipi gravi ed infamanti:
-Gli ebrei controllano media e finanza -Gli ebrei sono tutti ricchi e si aiutano tra loro -Gli ebrei non sono fedeli alla nazione dove vivono -Israele è uno stato illegittimo e perseguita i palestinesi -Israele è uno stato nazista e si comporta con i palestinesi come i tedeschi facevano con gli ebrei -Gli unici ebrei buoni sono quelli che accusano Israele e lo boicottano, gli altri sono complici di uno stato criminale e di conseguenza cattivi
Le fake news di matrice suprematista sono quelle sfociate negli atti di odio più gravi come l’attacco alla sinagoga di Halle in Germania durante il Kippur dell’ottobre 2019. Le teorie del complotto giudaico sono state fin dai primi mesi della comparsa del Covid linfa per i No Vax ed altri movimenti simili, con gli ebrei cospiratori nel creare il virus e allo stesso tempo vendere i vaccini. Uno degli studi più recenti, datati 2019, ad opera dell’Anti Defamation League, individua nel nostro paese come 8.900.000 gli italiani con pregiudizi antisemiti, di cui il 43% è di religione musulmana e il 14% nella fascia giovanile. Lo stesso Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori del Ministero degli Interni italiano conferma in uno studio svolto tra il 2016 ed il 2021 un incremento degli atti discriminatori etnico/razziali e religiosi ed il 17% di essi di matrice antiebraica. Considerati i numeri della presenza ebraica nella nostra penisola una percentuale considerevole. La fonte CDEC (Centro di documentazione ebraica contemporanea) ci informa che nel 2022 gli atti antiebraici sono stati 241 contro i 226 dell’anno precedente tra aggressioni, vandalismo, minacce, graffiti, diffamazione e antisemitismo nei media. Uscendo dai nostri confini nazionali uno studio della Anti Defamation League del 2023 su alcuni paesi europei segnala un forte aumento dell’odio antiebraico soprattutto in quelle nazioni dell’est dove i nazionalismi hanno preso il sopravvento. Polonia e Ungheria su tutti con un antisemitismo viscerale di stampo cattolico e populista e ultra nazionalista che vede nell’ebreo il “diverso” nemico della patria, mentre Francia e Regno Unito subiscono l’influenza dell’antisemitismo musulmano mascherato da antisionismo ed odio per Israele. Proprio la Francia ha visto i casi più eclatanti di odio antiebraico tramutarsi in assassini efferati come l’omicidio della anziana ebrea Mirelle Knoll nel 2018 da parte di un giovane vicino di casa islamista e di Sara Halimi ancora prima, nel 2017, picchiata brutalmente e scaraventata dalla finestra dal figlio musulmano radicalizzato di una vicina di casa ed ancora prima di Ilan Halimi seviziato, torturato e ucciso da una banda di giovani musulmani in quanto ebreo nel 2006. Non vanno meglio le cose in Belgio, dove secondo una inchiesta dell’Express, viene messo in luce come nelle scuole le discriminazioni contro gli studenti ebrei siano all’ordine del giorno, soprattutto causate dai studenti musulmani preponderanti nel numero. Ed intanto nei civilissimi paesi scandinavi si passa dalle profanazioni dei cimiteri ebraici in Danimarca nel 2019 ai successi elettorali in Svezia di partiti che si rifanno all’estrema destra, con una ricerca della società Acta Publica che rivela come siano 289 i politici svedesi che hanno avuto comportamenti o attività di stampo razzista o nazista, 240 di loro appartenenti ai democratici svedesi di Jimmie Akesson che all’ultime elezioni hanno preso il 20,5% dei consensi ed ora appoggiano il governo in carica mentre ancora più a destra non mancano formazioni di suprematisti come il Nordfront I cui militanti sfilano con divise che ricordano quelle naziste e soprattutto quelle dei suprematisti americani, al punto che in Finlandia la stessa organizzazione attiva in tutta la Scandinavia è stata dichiarata illegale e contro l’ordine democratico. Non di poco conto atti delinquenziali di questi estremisti come quelli del bruciare il Corano in piazza ed il tentativo di fare la stessa cosa con la Torah, il Pentateuco ebraico. Dulcis in fundo nella nostra cara e vecchia Europa quei partiti di ispirazione neonazista che in Germania ed Austria come l’AFD hanno ripreso un forte vigore e che, secondo un report di RIAS nel 2022 e come denunciato dalle comunità ebraiche tedesche, con i 2400 episodi antisemiti ,il 21% dei quali compiuto da estremisti di destra o populisti uniti a quel 7% di manifestazioni anti israeliane, ripropongono drammaticamente la questione ebraica il quel paese che tentò di risolverla con la “soluzione finale” degli anni del Terzo Reich. Il quadro poco edificante del nostro continente si chiude con Russia ed Ucraina dove i battaglioni Wagner da un lato e Azov dall’altro si distinguono per il neonazismo che li ispira e con movimenti e partiti come il Partito Nazional Socialista Russo composto da elementi fuoriusciti dal vecchio Pamyat, in un misto di ultrà nazionalismo e fedeltà quella chiesa ortodossa che anche in Polonia e Grecia soffia troppo spesso sul fuoco dell’antisemitismo più bieco. E così mentre in Europa la situazione sopra descritta crea preoccupazione, negli USA lo scenario è ancora più inquietante. Nella terra che si considera delle libertà il razzismo non è mai mancato, con movimenti come il Ku Klux Klan ormai sorpassato a destra da suprematisti e neonazisti di ogni risma. Tristemente famosa la marcia dei suprematisti nell’Università della Virginia, dopo gli scontri di Charlottesville, nell’agosto del 2017 al grido di “Gli ebrei non ci rimpiazzeranno” e del motto nazista “Terra e suolo” sulla purezza della razza ariana. Dal 2018 numerosi poi gli attacchi a centri ebraici, tanto da parte di singoli “lupi solitari” quanto di gruppi organizzati come quelli dell’aprile 2019 alla sinagoga Chabad di San Diego con una donna uccisa e numerosi feriti o quello di Pittsburgh alla sinagoga “Tree of life” dell’ottobre 2019 con 11 vittime o l’attacco al supermarket Kosher a Jersey City, in questo caso da parte di una gang afroamericana che fece 4 morti. Sempre citando uno studio dell’ADL negli Stati Uniti nel 2022 gli episodi antisemiti hanno avuto un incremento del 36%. In tutto questo marasma l’uso criminale dei social ad alimentare un odio profondo e costante ed una retorica tesa a banalizzare la Shoah, con luoghi comuni che hanno fatto presa sui gruppi anticapitalisti, antisistema e per finire sugli ultras degli stadi dove nelle curve, non solo in Italia la piaga antisemita è ormai conclamata, ma anche in Olanda ed in Inghilterra dove squadre come l’Aiax ed il Tottenham vengono continuamente fatte bersaglio di cori ed atteggiamenti antisemiti per le origini ebraiche dei team. Capitolo a parte andrebbe dedicato all’odio antiebraico nei paesi arabi con le decine di migliaia di ebrei espulsi, cacciati e vittime di pogrom nel 1967, a seguito della Guerra dei Sei Giorni o con le frequenti dichiarazioni improvvide di negazione o banalizzazione della Shoah del leader palestinese Abu Mazen, mentre uno dei best seller nelle librerie del Cairo è da anni il libello zarista antisemita e fake news per eccellenza “I protocolli dei Savi di Sion”. Hamas, Hezbollah e quei paesi ferocemente antisemiti come l’Iran, lo Yemen ed i tanti altri della galassia islamica meritano una riflessione più ampia e di natura geopolitica. In chiusura di questa panoramica degli orrori non è possibile non citare gli scivoloni continui della nostra classe politica, che dai semplici consiglieri municipali delle città fino ai parlamentari e ministri dei governi ci offrono continuamente perle di saggezza a sfondo antisemita, in un puzzle di affermazioni fatto di ignoranza, retorica e pregiudizio che tocca tutti gli schieramenti dell’arco costituzionale, nessuno escluso. Se non si cambiano modo di pensare, di comunicare e non si mettono al primo posto cultura e conoscenza non saranno mai le celebrazioni commemorative a sconfiggere il virus dell’antisemitismo e dell’odio antiebraico. L’unico vaccino a disposizione è l’educazione dei giovani nelle scuole, fin dalla tenera età. Usiamolo per curarci.
IL DOCUMENTO
ANALISI DELLO STATUTO DI HAMAS The Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center
Lo Statuto di Hamas è il documento che definisce l’ideologia del movimento così come è stata formulata e affinata dai suoi fondatori. Include la visione radicale del mondo islamico (concepita dai Fratelli Musulmani in Egitto), che sostanzialmente non è cambiata nei 18 anni della sua esistenza. Per quanto riguarda Israele, la posizione della Carta è intransigente. Essa considera il “problema della Palestina” come una questione religiosa e politica musulmana e il confronto israelo-palestinese come un conflitto tra l’Islam e gli ebrei “infedeli” La “Palestina” è presentata come terra sacra dell’Islam ed è severamente vietato cederne un centimetro perché nessuno (compresi i governanti arabo-musulmani) ha l’autorità per farlo. Per quanto riguarda le relazioni internazionali, lo Statuto manifesta una visione del mondo estremista e anti-occidentale come Al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche. Questa visione del mondo porta con sé il rifiuto di riconoscere il diritto dello Stato di Israele a esistere come nazione indipendente e sovrana, il lancio di una jihad (guerra santa) incessante contro di esso e la totale opposizione a qualsiasi accordo o intesa che riconosca il suo diritto a esistere. All’inizio della Carta c’è una citazione attribuita a Hassan Al-Bana, secondo cui “Israele sorgerà e continuerà a esistere finché l'Islam non lo spazzerà via, come ha spazzato via ciò che lo ha preceduto”. L’antisemitismo palese e feroce, di matrice sia islamica che cristiano-europea, è ampiamente utilizzato per la creazione di un'associazione di difesa dei diritti umani. Anche gli ebrei sono presentati come degni solo di umiliazione e di una vita di miseria. Questo perché, secondo la Carta, hanno irritato Allah, rifiutato il Corano e ucciso i profeti (il versetto del Corano in questione, tratto dalla Surah Aal-‘Imran, è citato all’inizio dello Statuto). Il documento include anche miti antisemiti tratti dai Protocolli degli Anziani di Sion (citati nell’articolo 32) riguardanti il controllo ebraico dei media, dell’industria cinematografica e dell’istruzione (articoli 17 e 22). I miti sono costantemente ripetuti per rappresentare gli ebrei come responsabili delle rivoluzioni francese e russa e di tutte le guerre mondiali e locali: “Nessuna guerra ha luogo in nessun luogo senza che gli ebrei vi siano dietro” (articolo 22). La Carta demonizza gli ebrei e li descrive come brutali, come i nazisti, nei confronti di donne e bambini (articolo 29). Lo Statuto considera la jihad (guerra santa) come il modo per sottrarre tutta la “Palestina” agli ebrei e distruggere lo Stato di Israele, e gli attacchi terroristici di Hamas sono visti come anelli della catena della jihad portati avanti durante il conflitto israelo-palestinese. L'articolo 15 afferma che “la jihad per liberare la 'Palestina' è un dovere personale” di ogni musulmano, un'idea esposta da 'Abdallah 'Azzam. La Carta enfatizza la battaglia per i cuori e le menti dei musulmani o “la diffusione della coscienza islamica” all'interno di tre sfere principali: i palestinesi, i musulmani arabi e i musulmani non arabi (articolo 15). Il processo di promozione e diffusione di quest”"coscienza islamica” è definito come un’operazione di “sensibilizzazione”. Il processo di promozione e diffusione della “"coscienza islamica” (amaliyyat al taw aiyah) è definito come la sua missione più importante. I chierici, gli educatori, gli uomini di cultura, coloro che operano nei media e nei servizi di informazione e il pubblico generalmente istruito hanno tutti la responsabilità di portarla avanti (ibid.). Come parte della battaglia per i cuori e le menti, la Carta pone un’enfasi particolare sull'educazione [cioè l'indottrinamento] nello spirito dell'Islam radicale, basato sulle idee dei Fratelli Musulmani. Il sistema educativo nei territori amministrati dall'Autorità palestinese deve subire cambiamenti fondamentali: deve essere "purificato", epurato dalle "influenze dell'invasione ideologica portata dagli orientalisti e dai missionari" (articolo 15) e le giovani generazioni devono ricevere un’educazione islamica radicale basata esclusivamente sul Corano e sulla tradizione musulmana (la Sunnah). I mezzi utilizzati per il reclutamento ideologico, come specificato nella Carta, sono "libri, articoli, pubblicazioni, sermoni, volantini, canti popolari, linguaggio poetico, canzoni, opere teatrali, ecc. Se impregnati di credenze e cultura islamica "corretta", diventano un importante mezzo per sollevare il morale e costruire la fissazione psicologica e la forza emotiva necessarie per una continua "campagna di liberazione" (articolo 19). La Carta sottolinea l'importanza della solidarietà musulmana secondo i comandi del Corano e della Sunnah, soprattutto alla luce del confronto in atto tra la società palestinese e il "nemico terrorista ebreo", descritto come nazista. Una delle espressioni di questa solidarietà è l'aiuto ai bisognosi (una delle cui principali manifestazioni è la rete di varie "società caritatevoli" create da Hamas, che integrano attività sociali e sostegno al terrorismo). Lo Statuto delinea la differenza ideologica tra Hamas, con la sua visione radicale del mondo islamico, e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, di orientamento laico, ma rende omaggio alla necessità dell'unità palestinese per affrontare il nemico ebraico. Il documento osserva che una visione islamica del mondo contraddice completamente l'orientamento laico dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e l'idea di uno Stato palestinese laico. Tuttavia, si legge nella Carta, Hamas è pronto ad aiutare e sostenere ogni "tendenza nazionalista" che lavora "per liberare la Palestina" e non è interessato a creare scismi e disaccordi (articolo 27).
SEGNALAZIONI
Libri: Portico d’Ottavia 13, di Anna Foa, Roma, Laterza, 2013
Israele. Storia dello Stato, di Claudio Vercelli, Giuntina, 2023
Film: L’oro di Roma, Regia di Carlo Lizzani, con Irag Anvar, Gérard Blain, Paola Borboni, Andrea Checchi, Italia, Francia, 1961.
La trasmissione: A proposito di Shalom. Conversazione settimanale di Alessio Falconio (Direttore di RadioRadicale) con Ruben Della Rocca (Già Vicepresidente della Comunità ebraica di Roma) dedicata alle pubblicazioni del mondo delle comunità ebraiche.
Museo: Museo ebraico di Roma. Il Museo Ebraico di Roma è inserito nel complesso monumentale del Tempio Maggiore. Il percorso museale permette, attraverso la visita delle diverse sale, la ricostruzione della vita ebraica a Roma fin dai primi insediamenti, nel II sec. Prima dell’Era Volgare. La Comunità Ebraica vive a Roma da 2200 anni ininterrottamente: questa caratteristica la rende tra le Comunità più antiche presenti fuori dalla Terra d’Israele. Le opere esposte nel Museo, risalgono principalmente al periodo del Ghetto (1555-1870) e provengono interamente dal palazzo delle Cinque Scole o Sinagoghe. La ricchissima collezione comprende arredi liturgici, manoscritti, incunaboli, documenti storici, registri ed opere marmoree. Fin dal 1960 il Museo ha esposto i suoi tesori in un’unica sala, ma lo studio e la catalogazione di tutte le opere hanno richiesto una maggiore area espositiva ed un nuovo allestimento, inaugurato nel 2005. Il Museo copre un’area di 700 metri quadrati e si snoda in sette sale dai temi diversi. Offre la ricostruzione della vita della popolazione ebraica a Roma e ci mostra come questa sia riuscita a integrarsi nella compagine socio-economica della Città, pur mantenendo la propria identità.
Siamo abitanti orgogliosi di questo pianeta che vivono con disaggio questa bellissima città in uno storico quartiere che è Medaglia d'oro al merito civile, fulgida testimonianza di resistenza all'oppressore ed ammirevole esempio di coraggio, di solidarietà e di amor patrio.
La resistenza continua contro il degrado, la sciatteria degli amministratori, l'inciviltà, la precarietà di una esistenza che vuole essere altra.
Cosa desideriamo per il nostro Quadraro Quartiere del VII (ex X) Municipio di Roma
Cose semplici, per tutti, vogliamo cose per il nostro Quartiere, cose che non ci sarebbe nemmeno bisogno di chiedere perché sono diritti di una città democratica che elegge i suoi rappresentanti in maniera democratica.
In questo spazio faremo l’elenco delle cose che desideriamo e scriveremo i nomi di chi riuscirà a realizzarle a prescindere da come la pensino e dal partito in cui militano.
Noi siamo pronti a collaborare con gli amministratori. Questo elenco è la prova!
Lista delle cose da fare per il Quadraro (l’elenco è in continuo aggiornamento con le mail che riceveremo)
Scrivi il tuo desiderio per il Quadraro a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Ristrutturazione della salita del Quadraro Pulizia e restauro della Fontana della salita del Quadraro Accensione delle luci nello spartitraffico della salita del Quadraro Valorizzazione della Memoria storica del nostro Quartiere Strade spazzate Recupero dell’edificio da sempre abbandonato in via Sagunto Secchioni puliti, svuotamento quotidiano e sostituzione cestelli rotti Riqualificazione di piazza del Quadraretto Riqualificazione di Largo dei Levii Trasferimento del Sart di via Sestlili in altro luogo e al suo posto una biblioteca Risanamento di via Columella Cancellazione delle scritte dai muri, strade e marciapiedi Eliminazione Eternit come il tetto di via Cartagine davanti alla ASL Abbattimento dei cartelloni pubblicitari Pulizia di tutti i pali dalla pubblicità Pulizia di tutti i muri dai manifesti Rimozione di tutte le buche sull’asfalto Opposizione a tutti i parcheggi abusivi Centro sociale per gli anziani Centro sociale per i giovani Cinema Teatro di quartiere Biblioteca Consultorio efficiente per tutte le persone in difficoltà Innesto di alberi e posizionamento piante per il quartiere Rastrelliere di biciclette alle fermate della metro Conservazione dei resti degli Acquedotti Rinnovamento del mercato di piazza dei Tribuni Sicurezza per tutto il quartiere Una targa ricordo dove stava il cinema Quadraro, luogo di sogno collettivo di tutta la comunità. Vogliamo delle panchine da posizionare in via dei Fulvi prima del semaforo con via Tuscolana, sia a dx che a sx (dove sono i parapedonali). Piste ciclabili Ci scrivono da via Sagunto: Salve, questi sono i miei desiderata per il quartiere (abito in Via Sagunto), in aggiunta a quelli già scritti:
1) Imporre limiti di bassa velocità alle macchine che percorrono via Selinunte e via Erminio mediante segnaletica e dossi (come su via del mandrione). E' un problema importante e sentito da varie persone perchè le macchine sfrecciano su strade frequentate da bambini che vanno a scuola (Salvo D'Acquisto). Spesso si verificano incidenti agli incroci (alcuni sono stati gravissimi).
2) Sensibilizzazione e maggiori controlli (e multe) nei confronti delle deiezioni dei cani non rimosse. Incredibile a dirsi, ma passeggiando si fa lo slalom gigante per evitare lo spiacevole calpestamento.... Grazie per il vostro impegno! Cordiali Saluti. Gianluca C.
Ci scrivono da piazza del Quadraretto: lista cose da fare per il Quadraro
1) Pulizia delle strade
2) Trasferimento Sart e riqualificazione della vicina piazza che adesso è vissuta solo dalle persone che frequentano il Sart. Non ti fanno neanche avvicinare alle panchine. Un giorno ho provato a sedermi con mio padre che non sta bene perché sta facendo la chemioterapia, ma ci hanno letteralmente cacciati!
3) Centro sociale per gli anziani, soprattutto per l’inverno.
Dopo due anni di lotte è stato accertato che l’antenna della Wind di via Francesco Gentile è abusivaè abusiva.
Tanto affinché si sappia in giro della vittoria ottenuta dai cittadini organizzati nel Comitato Spontaneo “NO Antenna”- Cinecittà Est contro l'installazione dell'antenna (SRB) di telefonia - gestore WIND in Via Francesco Gentile, 135.
Finalmente dopo tanto aspettare, e' stata pubblicata la sentenza di Merito del Ricorso al TAR indetto dai cittadini.
Esattamente un anno fa avevamo scritto di questa assurdo esempio di prepotenza. La vicenda risale al 17 dicembre 2011 quando venne posta velocissimamente l’antenna di una compagnia telefonica. Subito il popolo di Roma Est allora X Municipio ora VII, si ribellò. E’ mai possibile installare una cosa del genere quando nell'area circostante vi è un complesso scolastico con circa 1100 bambini di età compresa tra i 3 anni e i 14 anni? Si formò un battagliero comitato per contestare l’irregolarità dell’antenna ricordando i possibili bombardati di onde elettromagnetiche. Riguardava tutti gli abitanti ma in particolare per i ragazzi che vanno a scuola, giocano nei parchi giochi vicini e abitano a 20-30 metri di distanza.
E’ ufficiale l'antenna sul palazzo di Via F. Gentile, 135 è abusiva. Giustizia e' fatta ed il Comitato Spontaneo No Antenna gioisce insieme a tutti i cittadini di Cinecittà Est che li hanno affiancati e supportati in tutte le loro battaglie e lotte per contrastare un "male invisibile" quale l'elettrosmog.
Il 27 gennaio, è stata pubblicata la sentenza di merito del Tar Lazio - Sezione II-Bis, con cui è stato accolto il ricorso per l’annullamento del titolo autorizzativo dell’antenna.
Una sentenza straordinaria di ventidue pagine, in cui si smonta passo dopo passo tutta la vergognosa vicenda, che dura ormai da due anni. Sono stati accolti tutti i rilievi presentati.
Stefania Di Stefano, battagliera Vice –Presidente del Comitato, entusiasma. I Cittadini di Roma Est quartiere del VII Municipio hanno vinto il sorriso è ritornato sui nostri visi!
Il Comitato, con loro comunicato fanno sapere: “La sentenza farà giurisprudenza nei termini in cui è scritta - primo caso a Roma - e, probabilmente, supererà anche i confini romani e laziali. Infatti, oltre a ritenere fondati gli elementi strettamente pertinenti al nostro caso, il Collegio si esprime chiaramente in merito a due elementi, che mutano di fatto l’orientamento della giurisprudenza in materia di inquinamento elettromagnetico:
1) Il Protocollo d’Intesa, sottoscritto tra i Gestori di telefonia e il Comune di Roma, pur collocandosi come fonte normativa secondaria rispetto alla normativa statale, è parte integrante del procedimento amministrativo e non può essere ignorato;
2) La distanza di 100 metri rispetto ai siti sensibili va comunque presa in considerazione, sia per edifici pubblici che privati, proprio nell’applicazione del principio prudenziale di precauzione con riferimento ai possibili danni per la salute pubblica.
La battaglia non è ancora finita, i Gestori potrebbero appellarsi al Consiglio di Stato, ma noi siamo pronti: non ci fermeremo mai!”